Presentazione

S’era sul principio dell’estate del 2002. Al termine di una giornata lucente e non afosa. Lucente come può esserlo la campagna milanese abbagliata dall’astro evocato dai non lontani Mirasole e Quintosole; non afosa, come raramente capita per significare ai distratti che questa è pur sempre la patria delle acque.
Abbiamo risposto all’invito di Maria Luisa e Andrea. Occasione, il consueto annuale concerto di Marcos Vinicios nell’antico oratorio di cascina Campazzo.
I profumi del fieno che folano di traverso il vano aperto del portale, insieme al canto delle rane, arricciano pensieri poco consoni alle melodie: il futuro di quella cascina e dei suoi campi, dell’intera campagna irrigua del Basso Milanese.
Con Andrea, la conoscenza risale sulla metà degli anni Ottanta, all’epoca dei primi passi della storia del Parco Agricolo Sud Milano. Siamo appena reduci dal mandato negli organismi dell’ente gestore del nuovo parco che ha visto la luce. A lui è toccato il compito di rappresentare i lavoratori dei campi nel comitato tecnico agricolo; a me, nel consiglio direttivo, le associazioni d’ogni stampo e colore che fortemente hanno voluto la legge istitutiva con l’iniziativa popolare.
Da poco s’era passato il testimone. Sereni e soddisfatti per il lavoro fatto: raggiunto l’obiettivo dell’approvazione del Piano Territoriale, lo strumento fondamentale per la gestione del territorio agricolo di sessanta comuni della provincia di Milano e del capoluogo.
Ma la cultura del territorio era pronta a questa sfida, a garantire quelle volontà che per il momento stavano solo scritte nelle carte e nelle mappe? Erano pronti gli abitanti, le associazioni, gli amministratori, gli agricoltori? Come costruire una cultura nuova, dopo quasi un secolo di turbine nella “città che sale”, rotto ogni argine, provocato uno sconvolgimento di portata incalcolabile nella storia secolare di Milano?
A marcare il segno opposto non bastano le leggi. Nemmeno i rammendi della politica. Neppure i sommovimenti. Serve una cultura condivisa e diffusa e permeata. L’abitudine a condividere.
Ammirare questo territorio per l’equilibro che si è stabilito con i suoi caratteri originari, significa anche rendersi conto che esso può salvarsi solo se la gente che lo abita manifesta nel proprio agire una quotidiana e spontanea comprensione dei luoghi e del loro spirito.
Dovevamo mettere in moto degli strumenti nuovi, antichi per altri, secondo le nostre possibilità. Lo spirito dell’iniziativa voleva essere lo stesso che promanava dall’edificio sacro dedicato a Sant’Ignazio d’Antiochia: spoglio, austero, intenso, ancorato alle terre e ai luoghi. Quell’oratorio che sorgeva a pochi metri dai lussureggianti quartieri dei prati a marcita che hanno reso florida Milano, le cui ultime vestigia Andrea e la sua famiglia avevano miracolosamente protetto mentre la città ansimava alle loro spalle. E iniziare sotto gli auspici di un santo igneo come l’estate, che in prossimità del martirio spandeva immensa tenerezza verso gli animali, invitando ad accarezzare i leoni che di lì a poco l’avrebbero dilaniato.
Fu l’argomento che, sull’aia, seguì al concerto. Nell’autunno prendeva il via il primo ciclo di incontri ispirato, significativamente, dai vicini prati a schiena d’asino: l’arte della marcita e le sue origini, un patrimonio per Milano e per l’Europa.
Fra i relatori di quel primo ciclo, a illustrare le acque di Chiaravalle, figurava anche Mariella Borasio che nel bozzolo dello scorso Natale, in silenzio, ha trasformato la sua vita e ora freme nei giovani alberi messi qui a dimora.
Per dare maggior incisività al lavoro, e perché l’iniziativa fosse percepita come aperta, non classificata, pochi anni dopo nasceva Campo! Università di Milano-campagna. Luogo di incontro, di dibattito, di progetto, di studio intorno alla campagna del Basso Milanese, alla sua storia e attualità.
Non c’è campus che possa vantare titolo tanto pertinente. Omaggio alla cascina che l’ha visto nascere, il cui nome non evoca – come sulle prime parrebbe – terra malvagia, rigettata, ma campo fracido, acquidoso di naviglio, marcione, albergo d’infinite erbe, e insetti, e animali, più che d’umani.
S’è camminato sin qui. I temi prediletti involati come polline, amplificati oltre le nostre aspettative, forse non esattamente nel modo auspicato.
Ora questa campagna anela alla pace, al silenzio, alla stabilità, che sono il suo nutrimento quotidiano; alla pace con la città che su di lei è adagiata come in una culla, immersa; pace dei grandi cieli, pace di notti magiche brillanti di lucciole, pace gravida di zolle nella nebbia, leggera nei veli delle risaie; pace raccolta nella penombra delle navate abbaziali, o nella luce tardo meridiana che avvolge di mistica crepuscolare gli umili oratori di cascina.
Alberto Belotti
Milano˷campagna
13 marzo 2015